Studio Marangoni racconta Badia a Coltibuono

Un progetto fotografico tra storia, territorio e persone

Badia a Coltibuono è un luogo in cui la storia si intreccia con la vita quotidiana: dalle radici medievali ai giorni nostri, ogni pietra, giardino e scorcio di paesaggio racconta secoli di cultura e dedizione.

La campagna fotografica realizzata da Eleanor Docherty, Antonino Pellegrino, Leonardo Vitti e Gianluca Sansevrino, con la supervisione di Donato Sambuco e nell’ambito dei percorsi di Studio Marangoni, ha avuto l’obiettivo di valorizzare questo patrimonio unico, mettendo in dialogo architettura, natura e persone.

Se il paesaggio e gli edifici contribuiscono a definire l’identità di Badia a Coltibuono, sono i volti e le storie di chi vi lavora a renderla viva. Attraverso le immagini, gli autori hanno raccontato la realtà contemporanea dell’azienda, con uno sguardo autentico e profondo su chi ogni giorno contribuisce a mantenerne viva l’anima.

Il vino, cuore pulsante di Badia a Coltibuono, è stato il filo conduttore dei progetti: ciascun autore ha sviluppato una propria ricerca per raccontare un aspetto che rende Coltibuono un luogo unico, attraverso una residenza che li ha immersi nei suoi valori, nelle sue atmosfere e nel ritmo autentico della vita che la anima.

 

 

"I PROGETTI"

"La misura del tempo"

Donato Sambuco

Badia a Coltibuono è uno di quei luoghi in cui la pietra, la luce e la vegetazione rivelano una tensione costante tra permanenza e trasformazione.

Attraverso il dialogo tra interni e paesaggio queste immagini cercano di restituire la densità del silenzio e il respiro lento della storia. Ogni bottiglia impolverata, ogni ombra sul muro, ogni pezzo dell’arredamento diventa parte di una narrazione che parla di attesa e di trasformazione; di un equilibrio fragile e perfetto tra natura e cultura, tra ciò che si conserva e ciò che evolve.

Badia a Coltibuono diventa così più di un luogo: è un dispositivo di memoria, un corpo vivo in cui il passato non è un residuo ma una presenza attiva. È in questa sovrapposizione di materia e storia che si definisce lo spazio dello sguardo contemporaneo, invitando a ripensare il tempo non come linea, ma come stratificazione visiva e culturale.

"Traccia storica"

Gianluca Sansevrino

Badia a Coltibuono è la testimonianza storica di chi ha vissuto questo luogo, e chi lo ha fatto, vi si è dedicato anima e corpo.

Attraverso questi scatti, ho raccontato la storia del luogo, non solo con quello che si vede, ma con quello che si “sente”.

Ho rallentato il tempo, soffermandomi su dettagli e forme: il contrasto della materia scandisce il tempo e crea nuove forme tangibili.

Qui nasce l’invito a scoprire la storia di questo luogo più da vicino e più lentamente.

"-Occhio a quella, ti coglierà di sorpresa!-, ed era vero… "

Eleanor Docherty

Ho adottato un approccio spontaneo per documentare le persone che rendono viva Badia a Coltibuono. Le immagini sono scatti rubati: una pausa durante una chiacchierata, una risata nervosa, i gesti semplici e sicuri di una mano esperta. Una serie di respiri presi tra le mille attività che offrono uno sguardo ammirato sul movimento, la cura e la dedizione di questa comunità.

Leonardo Vitti

La Badia domina un promontorio collinare nel cuore del Chianti classico in un paesaggio apparentemente naturale ma in realtà fortemente modellato dalla mano dell’uomo. Attorno a Coltibuono però resiste ancora una vasta area di foreste, sassi e corsi d’acqua che sembrano lasciati intatti e intoccati.

È da questi elementi della natura che qui appaiono incontaminati, che parte la mia ricerca, per poi puntare l’obiettivo sulla Badia, un luogo di pace e tranquillità dove la pietra diventa chiesa, gli alberi colonne, il ruscello vasche ornamentali e piscine le cui bellezze celano il duro lavoro dell’uomo che qui, quotidianamente, combatte per metterle al riparo da quella natura “aspra e forte” che è appena lì fuori e sempre pronta a riprendersele.

Antonino Pellegrino

C’è un tempo che precede il rito, un’attesa che abita la terra.

I luoghi della Badia, fin dal primo giorno, non hanno fatto altro che suggerirmi di meditare sul fattore tempo e sulla stratificazione della memoria collettiva, della ripetizione, della tradizione.

Quello che più mi è sembrato naturale osservare è stato tutto ciò che rimaneva in disparte, in silenzio nei preparativi. Tutto era in ascolto e in attesa, del gesto tramandato, della promessa del raccolto.

È l’avvio al rito, un’attesa come forma del sacro.

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